Jenne – Si è svolta oggi nella logica del “tutto esaurito” la festa di Sant’Antonio con la Sagra della squisita polenta. Preparazione artigianale tipica, per una degustazione del pranzo che ha visto protagonisti moltissimi visitatori arrivati da ogni dove a Jenne. Nella cornice di Piazza Vittorio Emanuele dunque, una giornata splendida dove tradizione, amicizia e convivialità sono state vissute all’insegna del bellissimo borgo.
L’organizzazione è stata curata magistralmente dalla ProLoco e Centro Anziani di Jenne, e molto partecipata anche la benedizione degli animali in piazza. Il cielo splendido, una temperatura invernale che però non ha certo impedito di vivere il tutto all’aria aperta. Soddisfazione è stata espressa dal Sindaco di Jenne Giorgio Pacchiarotti: “ancora una volta Jenne è protagonista della tradizione, teniamo moltissimo a questa festa che conclude il calendario delle iniziative rivolte al periodo natalizio e grazie all’impegno profuso da tutti coloro che vi hanno collaborato, l’evento è riuscito in grande stile”. Di rilievo anche l’aggregazione sociale, in piazza un pò tutte le generazioni, con i migliori amici dell’uomo a quattro zampe ma anche tante altre specie di animali.
Jenne – Anche quest’anno c’è grande attesa per la tradizionale Festa di Sant’Antonio Abate – Favaro che tradizionalmente si svolge a Jenne la terza domenica di Gennaio. L’appuntamento è per il 19 dunque con la celebrazione della Santa Messa e benedizione degli animali seguita da un concerto di intrattenimento della Banda Musicale Filiberto Massimi di Jenne. Poi alle 12.30 spazio alla degustazione della speciale polenta preparata come una volta con i sapori della cucina locale.
Sempre all’ora di pranzo particolare attenzione per un appuntamento culturale che appassiona grandi e piccolo: la trasformazione del latte in formaggio e relativa degustazione. L’amministrazione comunale invita tutti a partecipare.
Le previsioni meteo indicano tempo buono con massime miti e quindi una giornata tutta da vivere nella perla della Valle Aniene
Jenne – L’appuntamento con la Befana sui Trampoli a Jenne è per domenica 5 gennaio 2020 dalle ore 16.00 alle ore 18.00 per un divertimento popolare e per salutare l’Epifania.
Ci sarà spazio per giochi, dolci, cotillons, tante risate e la magia della Befana che affascina grandi e piccini! L’Amministrazione Comunale invita tutti a partecipare.
Jenne – Si è svolto nel pomeriggio di ieri nella suggestiva cornice della Chiesa di Sant’Andrea apostolo in Jenne il gran concerto di Fine anno.
Il numeroso pubblico che ha partecipato al concerto in una Chiesa gremita ha voluto riservare vere e proprie ovazioni per il soprano Angela Nicoli la quale durante il concerto è stata accompagnata dall’Orchestra Musici Lirienses con la partecipazione di prime parti dei più importanti Enti Teatrali Italiani.
L’orchestra strutturata in Archi: 7 violini, 3 viole, 2 violoncelli, 1 contrabbasso
Fiati: 2 oboe, 2 flauti, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 trombe, 2 corni, 3 tromboni, 1 tuba e 2 timpani in totale sul sagrato della Chiesa hanno fatto da corona alla buona musica classica ben 35 musicisti e 35 coristi per salutare il 2019 ed accogliere il 2020 sotto i migliori auspici. L’0rchestra è stata diretta dal Maestro Alessandro Cedrone, direttore musicale generale dell’Opera Nazionale Romena di Iasi.
Magistrale la presentazione di Tonino Bernardelli che ha fornito uno spaccato storico per ciascuno dei brani legati dal comune denominatore dei grandi compositori che hanno fatto la storia indelebile della musica classica. C’è stato spazio per esecuzioni particolari con il suono dell’incudine, e con intermezzi vocali del soprano sfondo di voci del Coro e per una serata a dir poco coinvolgente. Bellissimo il brindisi che è stato cantato dal soprano in compagnia del sindaco Giorgio Pacchiarotti.
Il primo cittadino prima dell’ultimo brano, la suggestiva Marcia di Radetzky, ha rivolto in un discorso appassionato e realista i migliori auguri alla comunità di Jenne, soffermandosi sul forte impegno dell’Amministrazione Comunale nel portare avanti importanti opere pubbliche i cui iter spesso sono soggetti a troppe e lunghe insidie burocratiche. Il sindaco inoltre ha rivolto per ciascuna delle associazioni e organizzazioni locali un sentito ringraziamento per il contributo fattivo che forniscono alla vita del bellissimo borgo, perla della Valle Aniene.
Pubblicato da Comune di Jenne su Domenica 29 dicembre 2019
Jenne – Una atmosfera a dir poco suggestiva ha caratterizzato il pomeriggio della Festività di Santo Stefano nella porta della Valle Aniene. I Trillanti, con Bonì Bonanno gruppo emergente di musica popolare folkloristica ciociara hanno dato vita ad uno spettacolo senza precedenti sapendo coniugare fede, cultura, tradizione e vernacolo.
Il Natale presso la cornice della Chiesa di Sant’Andrea apostolo è stato protagonista in una forma diversa. I canti, tutti ripresi dalle migliori tradizioni locali hanno fornito uno spaccato di fede cantata dalla gente comune, esaltata da ritmi che hanno spaziato tra la poesia e gli affascinanti ritmi melodici popolari che hanno coinvolto tutti.
Come già reso alle cronache, il gruppo musicale è stato vittima di un importante furto di strumenti musicali antichissimi avvenuto presso la capitale romana nei giorni scorsi, ma in brevissimo tempo si sono dunque riattrezzati come potevano esaltando ugualmente il loro lavoro. L’appello per la restituzione degli strumenti rubati è un coro unanime a livello nazionale.
Il gruppo emergente è stato dunque apprezzatissimo in una Chiesa gremita che ha ripagato i bravissimi artisti, tutti giovani, da moltissimi applausi.
Jenne 24 Dic 2019 – E’ Natale a Jenne, nella cornice suggestiva del bellissimo borgo già da questa sera prende il via il ricco calendario delle iniziative che come ogni anno caratterizzano la perla della Valle Aniene. Un fascino suggestivo darà il via nella sera della vigilia al Presepe artistico allestito quest’anno come rievocazione figurata dell’arte presepiale napoletana del 700. E poi una serie di iniziative: la sagra del Fallone, il concerto del gruppo “I trillanti”, il Gran concerto di fine anno su cui c’è moltissima attesa per il ritorno a Jenne della grande artista canora Angela Nicoli del Teatro dell’Opera. E poi la Befana, e si arriverà al 19 gennaio con la tradizionale festa di Sant’Antonio.
“Anche quest’anno – afferma il sindaco Giorgio Pacchiarotti – abbiamo cercato di selezionare il meglio per vivere insieme il Natale e per questo ringrazio tutti coloro che hanno collaborato alla composizione del ricco calendario di eventi. Saremo lieti di vivere insieme questi appuntamenti per lo scambio augurale, per stare insieme nella comunità e con i graditi ospiti che da ogni dove e come sempre vengono a trovarci. Auguri dunque a tutti, vi aspettiamo a Jenne”
Jenne – Grande attesa nel bellissimo borgo perla della Valle Aniene per il Gran Concerto di fine anno. L’appuntamento è per domenica 29 dicembre 2019 alle ore 18.00 nella suggestiva cornice della Chiesa di Sant’Andrea Apostolo. Torna dunque a riecheggiare a Jenne la voce del soprano Angela Nicoli del Teatro dell’Opera, per un concerto in grande stile che si preannuncia unico nel suo genere.
Trentacinque coristi della Corale Polifonica S. Silvestro Papa e Collegium Musicum Vox, e l’Orchestra Musici Lirienses, trentacinque prime parti provenienti dai più importanti enti teatrali italiani faranno da corona ad un repertorio di grande effetto che delizierà il pubblico presente.
L’evento sarà presentato dal conduttore Tonino Bernardelli, direttore d’Orchestra il Maestro Alessandro Cedrone.
Il Sindaco di Jenne Giorgio Pacchiarotti e l’amministrazione comunale tutta rivolgono caloroso invito pubblico di partecipazione all’evento.
Jenne – Il Presepe di Jenne edizione 2019-2020 è caratterizzato con un omaggio all’arte presepiale storica. Ed è in fase di allestimento una scenografia unica nel suo genere che a livello itinerante per le suggestive vie del borgo perla della Valle Aniene. L’ispirazione è ai personaggi del 700 che sembrano prendere vita negli angoli suggestivi in un percorso a dir poco affascinante. Personaggi di vita quotiduana con i loro costumi settecenteschi dunque verso una fusione nelle antiche vie per la rappresentazione del Santo Natale.
Tre i punti più importanti del presepe: Il viaggio, la natività ed i Re Magi.
“Il viaggio ci riporta indietro in un tempo ormai perduto – spiega il sindaco Giorgio Pacchiarotti – con quelle note indelebili di semplicità e di fede che vanno riscoperte, mentre la Natività, è rappresentata come l’essenza del Natale per la celebrazione della nascita di Gesù, immenso pioniere della cristianità che nasce in un clima di umiltà e di calore. Poi gli affascinanti Re Magi che con i loro doni, oro, incenso e mirra, da sempre sono protagonisti indiscussi del presepe nel momento dell’Epifania. In questo percorso – prosegue Pacchiarotti – quest’anno abbiamo voluto caratterizzare il nostro borgo come ospite e testimone di una cultura: quella presepiale napoletana settecentesca ed invitiamo tutti a Jenne per apprezzarne l’unicità”.
E fu proprio il compianto Luciano de Crescenzo che ebbe a testimoniare la differenza tra il presepe popolare e quello settecentesco napoletano:
Il presepe popolare
Giunti a questo punto, dobbiamo dire che il presepe popolare conserva tuttora una funzione religiosa, più o meno simile a quella dei Lari degli antichi Romani: è il luogo centrale della festa natalizia, una specie di altare domestico. È il fermo-immagine, che ogni famiglia accoglie in casa, del momento fondamentale del mistero cristiano.
Qualcuno lo ha definito “traduzione del Vangelo in dialetto”. Qui la manifattura dei pastori è semplice, artigianale, sempre popolare e veniva realizzata in legno in un primo periodo, successivamente in terracotta. L’idea con cui nasce e viene realizzato, perciò, è molto diversa dal presepe settecentesco.
“Che cosa sia il presepe popolare noi lo apprendevamo ogni anno in casa nostra con zio Alfonso, quando lui stesso tirava fuori lo scatolone natalizio.
Ogni pastore di zio Alfonso aveva la sua storia. Qualcuno era addirittura immortale: anche se nel corso della vita avevano perso qualche pezzo, continuavano a fare il loro dovere sul presepe. Un pastore senza una gamba veniva strategicamente piazzato dietro un cespuglio. E quello senza un braccio lo si nascondeva per metà dietro un albero. Avevamo un pastore soprannominato Pasqualino Passaguai, che col tempo aveva perso l’ottanta per cento del proprio corpo, e precisamente le gambe, le braccia e buona parte del busto. Ciononostante, zio Alfonso lo collocava dietro una finestrella, in modo che facesse capolino solo con la testa.
E poi c’erano tante altre piccole astuzie, alle quali eravamo tutti molto affezionati, tipo l’enteroclisma nascosto dietro le montagne per avere l’acqua del fiumiciattolo, che scorreva veramente, e le lampadine dietro il fondale di carta bucherellato per fare le stelle. “I buchi delle stelle” diceva zio Alfonso “devono essere piccoli, anzi piccolissimi. Più sono piccoli, e più la luce si rifrange sui bordi. E allora sì che sembrano stelle.”
Il fondale, in genere, lo si faceva con la carta dei maccheroni: quella di colore blu, che si usava una volta negli anni Trenta per avvolgere la pasta. Approfitto dell’occasione per inviare un affettuoso saluto alla carta dei maccheroni della mia prima giovinezza. Spero tanto che qualcuno la rimetta in commercio”.
Presepe settecentesco
Dal Seicento in poi, il presepe, per la prima volta nella sua lunga storia, si diffuse un po’ dappertutto. A partire da questo periodo, la raffigurazione della Natività, infatti, non fu più qualcosa che riguardava solo le chiese e i luoghi di culto, dove fino a quel momento i presepi venivano allestiti. Ora si apre una fase nella quale il presepe comincia a essere apprezzato anche dai ricchi, e mi riferisco soprattutto alla nobiltà napoletana. Anzi, in molti di loro si scatenò una vera e propria passione che li spinse a commissionare i presepi e a pagare profumatamente gli artisti e gli artigiani più bravi a realizzarli.
Tutto ciò sfrenò l’ingegno di questi abilissimi scultori, i quali, attorno alla scena originaria della Natività di Gesù, iniziarono a creare sfondi sempre più belli da vedere. Nacque anche l’abitudine di sistemare il presepe in modo tale da fare di Napoli un suggestivo fondale, con il suo Vesuvio come cornice della Grotta in cui Cristo era nato.
Arriviamo così al Settecento, periodo in cui si presenta a Napoli Carlo III di Borbone. Molti lo considerano il secolo d’oro nella storia della città. Napoli in questi anni è una capitale fiorente, almeno per quello che riguarda la corte e i nobili che frequentano l’ambiente dei regnanti. Del resto, è il periodo nel quale venne realizzata la gran parte degli edifici più prestigiosi della zona: le regge di Caserta, di Capodimonte e di Portici, la Casina Vanvitelliana, le ville del Miglio d’Oro a Ercolano. Lo stesso Palazzo Reale napoletano, quello di piazza del Plebiscito, fu in pratica rifatto da cima a fondo nel Settecento dagli architetti di Carlo III.
In un clima come questo, anche l’arte del presepe ebbe la sua piena esplosione. Ma nel Settecento il presepe perde gran parte del suo ruolo religioso. Tutto assume un’aria laica e diventa un passatempo dell’aristocrazia napoletana, che esibisce la propria ricchezza anche con il presepe. Addirittura i ricami degli abiti in seta dei “pastori vestiti” erano di oro autentico. Così se il presepe settecentesco è pomposo e barocco, quello popolare resta devozionale e sempre legato al rito natalizio.
Proprio a questo proposito, vi voglio raccontare la storia di Maria Francesca delle Cinque Piaghe, una sarta specializzata nel confezionare abiti per le statuine di Gesù.
“Si dice che nel Natale del 1787, mentre Maria Francesca stava infilando un abito al Bambino, la statuina abbia mosso le braccia aiutandola a farsi vestire. Se andate nei Quartieri Spagnoli di Napoli, in vico Tre Re a Toledo, dove abitava e lavorava Maria Francesca, poi diventata santa, c’è una sedia sulla quale ancora oggi molte donne che non riescono ad avere figli si siedono, sperando nel miracolo”.
Con i Gesuiti, arrivati a Napoli già nel Seicento, la grotta del presepe, fino ad allora luogo della Nascita, si trasforma in un tempio in rovina, a significare la definitiva disfatta del paganesimo. E per portare Gesù nelle case di tutti, si servirono del presepe, diffondendo l’usanza tra le famiglie di costruirselo in casa. Vi dico subito che non sono neutrale, io tifo apertamente per il presepe popolare. Il motivo risale alla mia tradizione familiare, il presepe popolare è quello di zio Alfonso e quindi della mia infanzia. Al presepe settecentesco ruberei lo sfondo col golfo di Napoli e il Vesuvio alle spalle, possibilmente col pennacchio. Ma, sia chiaro, so perfettamente quanta perfezione stilistica c’è nella gran parte dei presepi del Settecento, e quanto abili sono gli artigiani che ancora oggi li realizzano.
Il pezzo più pregiato e famoso che troverete a San Martino è sicuramente il presepe di Cuciniello. Forse non sono tanti a sapere che questo presepe prende il nome da un napoletano, Michele Cuciniello, vissuto nel XIX secolo. Cuciniello era in realtà uno scrittore di opere teatrali, ma anche lui adorava i presepi e cominciò a collezionarli. Proprio come sarebbe poi accaduto a Schmederer, dieci anni prima di morire, Cuciniello affidò al Museo di San Martino tutto ciò che aveva raccolto in una vita.
Va detto che Michele Cuciniello non si limitava ad accumulare pastori, si divertiva anche a ideare le scene che poi lui stesso realizzava sui suoi presepi, usando le statuette dei pastori come fossero attori delle sue commedie. Pare che non fosse solo, quando progettava questa specie di regia del presepe.
Le scene avevano come autori anche un architetto di nome Fausto Nicolini, il drammaturgo Luigi Masi e un tale Luigi Farina, del quale si legge la firma sullo sfondo del paesaggio roccioso.
Fomnte: Luciano De Crescenzo .”GESÙ È NATO A NAPOLI” La mia storia del presepe- Mondador
“Giunti a questo punto, – ebbe a spiegare il popolarissimo autore e scrittore recentemente scomparso – dobbiamo dire che il presepe popolare conserva tuttora una funzione religiosa, più o meno simile a quella dei Lari degli antichi Romani: è il luogo centrale della festa natalizia, una specie di altare domestico. È il fermo-immagine, che ogni famiglia accoglie in casa, del momento fondamentale del mistero cristiano.
Qualcuno lo ha definito “traduzione del Vangelo in dialetto”. Qui la manifattura dei pastori è semplice, artigianale, sempre popolare e veniva realizzata in legno in un primo periodo, successivamente in terracotta. L’idea con cui nasce e viene realizzato, perciò, è molto diversa dal presepe settecentesco.
Ogni pastore di zio Alfonso aveva la sua storia. Qualcuno era addirittura immortale: anche se nel corso della vita avevano perso qualche pezzo, continuavano a fare il loro dovere sul presepe. Un pastore senza una gamba veniva strategicamente piazzato dietro un cespuglio. E quello senza un braccio lo si nascondeva per metà dietro un albero. Avevamo un pastore soprannominato Pasqualino Passaguai, che col tempo aveva perso l’ottanta per cento del proprio corpo, e precisamente le gambe, le braccia e buona parte del busto. Ciononostante, zio Alfonso lo collocava dietro una finestrella, in modo che facesse capolino solo con la testa.
E poi c’erano tante altre piccole astuzie, alle quali eravamo tutti molto affezionati, tipo l’enteroclisma nascosto dietro le montagne per avere l’acqua del fiumiciattolo, che scorreva veramente, e le lampadine dietro il fondale di carta bucherellato per fare le stelle. “I buchi delle stelle” diceva zio Alfonso “devono essere piccoli, anzi piccolissimi. Più sono piccoli, e più la luce si rifrange sui bordi. E allora sì che sembrano stelle.”
Il fondale, in genere, lo si faceva con la carta dei maccheroni: quella di colore blu, che si usava una volta negli anni Trenta per avvolgere la pasta. Approfitto dell’occasione per inviare un affettuoso saluto alla carta dei maccheroni della mia prima giovinezza. Spero tanto che qualcuno la rimetta in commercio”.
Presepe settecentesco
Dal Seicento in poi, il presepe, per la prima volta nella sua lunga storia, si diffuse un po’ dappertutto. A partire da questo periodo, la raffigurazione della Natività, infatti, non fu più qualcosa che riguardava solo le chiese e i luoghi di culto, dove fino a quel momento i presepi venivano allestiti. Ora si apre una fase nella quale il presepe comincia a essere apprezzato anche dai ricchi, e mi riferisco soprattutto alla nobiltà napoletana. Anzi, in molti di loro si scatenò una vera e propria passione che li spinse a commissionare i presepi e a pagare profumatamente gli artisti e gli artigiani più bravi a realizzarli.
Tutto ciò sfrenò l’ingegno di questi abilissimi scultori, i quali, attorno alla scena originaria della Natività di Gesù, iniziarono a creare sfondi sempre più belli da vedere. Nacque anche l’abitudine di sistemare il presepe in modo tale da fare di Napoli un suggestivo fondale, con il suo Vesuvio come cornice della Grotta in cui Cristo era nato.
Arriviamo così al Settecento, periodo in cui si presenta a Napoli Carlo III di Borbone. Molti lo considerano il secolo d’oro nella storia della città. Napoli in questi anni è una capitale fiorente, almeno per quello che riguarda la corte e i nobili che frequentano l’ambiente dei regnanti. Del resto, è il periodo nel quale venne realizzata la gran parte degli edifici più prestigiosi della zona: le regge di Caserta, di Capodimonte e di Portici, la Casina Vanvitelliana, le ville del Miglio d’Oro a Ercolano. Lo stesso Palazzo Reale napoletano, quello di piazza del Plebiscito, fu in pratica rifatto da cima a fondo nel Settecento dagli architetti di Carlo III.
In un clima come questo, anche l’arte del presepe ebbe la sua piena esplosione. Ma nel Settecento il presepe perde gran parte del suo ruolo religioso. Tutto assume un’aria laica e diventa un passatempo dell’aristocrazia napoletana, che esibisce la propria ricchezza anche con il presepe. Addirittura i ricami degli abiti in seta dei “pastori vestiti” erano di oro autentico. Così se il presepe settecentesco è pomposo e barocco, quello popolare resta devozionale e sempre legato al rito natalizio.
Proprio a questo proposito, vi voglio raccontare la storia di Maria Francesca delle Cinque Piaghe, una sarta specializzata nel confezionare abiti per le statuine di Gesù.
“Si dice che nel Natale del 1787, mentre Maria Francesca stava infilando un abito al Bambino, la statuina abbia mosso le braccia aiutandola a farsi vestire. Se andate nei Quartieri Spagnoli di Napoli, in vico Tre Re a Toledo, dove abitava e lavorava Maria Francesca, poi diventata santa, c’è una sedia sulla quale ancora oggi molte donne che non riescono ad avere figli si siedono, sperando nel miracolo”.
Con i Gesuiti, arrivati a Napoli già nel Seicento, la grotta del presepe, fino ad allora luogo della Nascita, si trasforma in un tempio in rovina, a significare la definitiva disfatta del paganesimo. E per portare Gesù nelle case di tutti, si servirono del presepe, diffondendo l’usanza tra le famiglie di costruirselo in casa. Vi dico subito che non sono neutrale, io tifo apertamente per il presepe popolare. Il motivo risale alla mia tradizione familiare, il presepe popolare è quello di zio Alfonso e quindi della mia infanzia. Al presepe settecentesco ruberei lo sfondo col golfo di Napoli e il Vesuvio alle spalle, possibilmente col pennacchio. Ma, sia chiaro, so perfettamente quanta perfezione stilistica c’è nella gran parte dei presepi del Settecento, e quanto abili sono gli artigiani che ancora oggi li realizzano.
Il pezzo più pregiato e famoso che troverete a San Martino è sicuramente il presepe di Cuciniello. Forse non sono tanti a sapere che questo presepe prende il nome da un napoletano, Michele Cuciniello, vissuto nel XIX secolo. Cuciniello era in realtà uno scrittore di opere teatrali, ma anche lui adorava i presepi e cominciò a collezionarli. Proprio come sarebbe poi accaduto a Schmederer, dieci anni prima di morire, Cuciniello affidò al Museo di San Martino tutto ciò che aveva raccolto in una vita.
Va detto che Michele Cuciniello non si limitava ad accumulare pastori, si divertiva anche a ideare le scene che poi lui stesso realizzava sui suoi presepi, usando le statuette dei pastori come fossero attori delle sue commedie. Pare che non fosse solo, quando progettava questa specie di regia del presepe.
Le scene avevano come autori anche un architetto di nome Fausto Nicolini, il drammaturgo Luigi Masi e un tale Luigi Farina, del quale si legge la firma sullo sfondo del paesaggio roccioso.
Fonte: Luciano De Crescenzo .”GESÙ È NATO A NAPOLI” La mia storia del presepe- Mondadori
Jenne – Sono in fase avanzata di ampliamento i lavori per la costruzione di una bellissima sala hobby la cui superficie è di circa 60 metri quadrati. I lavori si aggiungo a quanto già appaltato in precedenza per un importo pari a 188 mila euro.
“Tali somme – spiega il primo cittadino Giorgio Pacchiarotti – sono state reperite con l’acquisizione di uno specifico mutuo con la Cassa depositi e prestiti e le cui rate vengono pagate con i proventi di IMU e TASI per i quali si è provveduto alle azioni di recupero specificamente dall’ENEL Nessun costo aggiuntivo pertanto, come è evidente, è a carico dei cittadini a differenza di quanto viene purtroppo asserito da chi intende solo strumentalizzare le azioni concrete dell’amministrazione. In questo modo – conclude il sindaco – la struttura più ampia e con maggiori servizi consentirà agli ospiti una ottimale fruibilità degli spazi”.
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