Jenne – Era il 12 novembre 2003 quando un’autocisterna blu irruppe nella Base Maestrale di Nassiriya ed esplose provocando il crollo dell’edificio principale ed il danneggiamento di una seconda palazzina, dove aveva sede il comando, mentre il deposito delle munizioni andò a fuoco. Il bilancio fu devastante: 28 morti, dei quali 19 italiani, di cui dodici Carabinieri .
L’Italia intera si strinse ai nostri militari caduti, come ancora oggi a distanza di sedici anni, in quello che potremmo definire il “nostro 11 settembre”, ricorrenza ancor più dolorosa quest’anno dopo il recente attacco ad un nostro convoglio domenica scorsa.
Quel giorno perirono:
i CARABINIERI:
Massimiliano Bruno, maresciallo aiutante;
Giovanni Cavallaro, sottotenente;
Giuseppe Coletta, brigadiere; Andrea Filippa, appuntato; Enzo Fregosi, maresciallo luogotenente;
Daniele Ghione, maresciallo capo;
Horacio Majorana, appuntato; Ivan Ghitti, brigadiere; Domenico Intravaia, vice brigadiere;
Filippo Merlino, sottotenente; Alfio Ragazzi, maresciallo aiutante;
Alfonso Trincone, maresciallo aiutante;
i militari dell’ ESERCITO:
Massimo Ficuciello, capitano;
Silvio Olla, maresciallo capo; Alessandro Carrisi, primo caporal maggiore;
Emanuele Ferraro, caporal maggiore capo scelto;
Pietro Petrucci, caporal maggiore;
ed i CIVILI
Marco Beci, cooperatore internazionale;
Stefano Rolla, regista.
Per l’attentato di Nassiriya, la Cassazione ha condannato il Generale Bruno Stano a risarcire le famiglie delle vittime della strage. Stano, che all’epoca dei fatti era comandante della missione italiana in Iraq, ha subito un procedimento penale per reato aggravato colposo di “distruzione o sabotaggio di opere militari”, da cui è stato assolto con sentenza della Corte d’Appello Militare di Roma del 24 novembre 2009. Per l’attuale condanna, alcuni esponenti politici hanno richiesto una revisione da parte del Ministro della Difesa, ritendendo necessaria una normativa per i militari impegnati all’estero che li protegga e li tuteli, “perché se lo Stato abbandona i propri comandanti o i propri uomini, come nel caso del generale Stano, c’è il rischio che poi nessuno voglia più prendersi responsabilità così importanti”.
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